Fortuna Critica - Adriana Rigonat

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Fortuna Critica

   
Oltre la rappresentazione - Enea Chersicola 2021

Perché la fotografia compare nelle opere di Adriana Rigonat?
Per rispondere a questa domanda, mi è necessario fissare alcuni presupposti che mi permettano di speculare al riguardo. Muovo i primi passi di questo pensiero dalla scontata convinzione che sia ampiamente avvenuto per l’essere umano quel capovolgimento degli scopi che ha messo in crisi tutto il mondo occidentale. Mentre un tempo il pensiero tecnico era finalizzato al raggiungimento del benessere umano, oggi l’uomo è parte del meccanismo che provvede all’incessante crescita della tecnica. Per chiarire tale questione è sufficiente pensare che sul pianeta Terra sono presenti testate nucleari sufficienti a distruggere il globo per decine di volte. Questo non è più in una dimensione umana del senso.
Quando diciamo “tecnica” facciamo sempre riferimento al pensiero, il più razionale dei pensieri, che governa l’andamento di ciò che riguarda l’uomo. La sintesi è “ottenere il massimo dei risultati con il minimo degli sforzi”. Quando diciamo “tecnologia”, intendiamo tutto quell’insieme di strumenti che l’uomo adopera per sopravvivere all’interno della tecnica. Dico “sopravvivere” perché l’uomo non è più nella disponibilità di rinunciare alla tecnologia: rinunciare al cellulare, al computer, ai mezzi di trasporto, alla rete significa andare incontro alla morte sociale che precede l’imminente morte biologica (si veda a tal proposito L’identità di Claude Lévi- Strauss).
Nel momento epocale in cui la fotografia fece la sua comparsa al mondo, iniziava già a diventare chiaro che un capovolgimento dei fini fosse ormai incombente e proprio Marx metteva in guardia sul rischio che il capitale potesse diventare strumento per la produzione di valori. La fotografia si inserisce nella storia dell’arte nel seme del pensiero tecnico. Ciò che la rappresentazione pittorica era in grado di produrre con tempo e fatica, poteva essere raggiunto con qualche minuto di esposizione e con una presunta maggiore veridicità rispetto alla pittura. Da quel momento si inaugura un pensiero, nelle arti figurative, che possa andare aldilà della rappresentazione seguendo il pensiero nietzschiano molto in voga a fine ‘800 tra i grandi artisti parigini e non solo.
Inizia a questo punto un rapporto tra pittura e fotografia con molte diverse sfaccettature, ma quella che interessa a noi in questo contesto è quella che vivrà Francis Bacon. Bacon utilizzerà la fotografia come primo strumento di alterazione della realtà, per arrivare ad una pittura su carta che sia la trasfigurazione della trasfigurazione. C’è in questo forse un’ironia: nell’utilizzare il prodotto del pensiero tecnico razionale in maniera errata (attraverso il mosso, la sovraesposizione, il fotomontaggio) per trasformarla in opera legata ad un pensiero creativo e divergente. La sfida che questo approccio inaugura è strappare lo strumento tecnologico della macchina fotografica alla tecnica, per consegnarlo in modo clownesco ad una creatività sacrale che possa adoperarlo non in quanto fotografia rappresentativa ma in quanto equivoco espressionista del reale.
Quando Adriana Rigonat realizza fotografie attraverso l’uso della fotocopiatrice, muovendo le immagini e strappandole, tenta di adoperare l’immagine fotografica come strumento della sua tavolozza. Come un colore indefinibile che non arriva all’occhio attraverso una frequenza di fotoni, ma come una frequenza emotiva che parla alla memoria del corpo e, attraverso il riconoscimento di un’immagine, assegna ad ogni opera un suo posizionamento nel mondo.
Quando siamo di fronte ad un’opera, cerchiamo di inserirla all’interno della nostra rete di significati in modo da avere un punto di partenza da cui affrontarla. L’immagine fotografica rimanda ad una presunta veridicità rappresentativa e, nel lavoro pittorico, costituisce il terreno solido su cui appoggiare i piedi per poter entrare nell’opera. Tutto ciò che è extra-fotografico ha a che fare con l’interpretazione e questa altera anche il senso dell’immagine fotografica sottraendola, in ultimo, alla sua presunta veridicità.
Nell’opera di Rigonat anche la fotografia collassa dall’impalcatura del senso per nutrire un equivoco che non trova spazio nel pensiero tecnico. Fuori dal pensiero tecnico vi è in potenza la morte ed è consigliabile, ed inevitabile, pensare che in fin dei conti il pensiero creativo non serva a nulla. Ed infatti l’autentico pensiero creativo non serve nulla e nessuno.

 
 
Tante le mie persone - Enea Chersicola 2021

In Italiano e spagnolo “Persona”, in inglese e tedesco “Person”, in francese “Personne”, in rumeno “Persoană” e similari in olandese, norvegese e in quasi la totalità delle lingue europee. La stessa radice etimologica per identificare l’individuo. Come fa notare Arthur Schopenhauer, è incredibilmente pertinente il modo in cui in tutta Europa viene utilizzato il medesimo termine per indicare l’individuo. Persona infatti deriva dalla lingua dei latini che si riferivano con questa parola (per-sonàr – risuonare attraverso) alla maschera lignea adoperata per accentuare l’identità dei personaggi teatrali, attraverso le fattezze e l’amplificazione della voce.
Per molti intellettuali nel corso della storia è sempre stato di grande interesse il tema della maschera che l’uomo è portato ad indossare per conferire all’assemblea quotidiana della vita. Che l’uomo sia animale sociale si è ampiamente discusso, che questa socialità sia soggetta ad una radicale finzione da parte degli individui pare essere un fondo continuo della vita che viene trattato con attenzione e parsimonia, quasi fosse un tabù.
Pare complesso affrontare il nostro interlocutore sapendo che entrambi al momento dell’incontro indossiamo una maschera. Noi mostrando ciò che vogliamo che il nostro interlocutore veda, lui facendo la medesima cosa nei nostri confronti. Viviamo tendendo a lasciare questo pilastro fondante delle nostre relazionalità chiuso tra una parentesi sorda che non vogliamo far emergere.
Sarebbe curioso tenere da conto l’ipotesi che persino verso noi stessi, talvolta, indossiamo delle maschere che ci fanno figurare ai nostri stessi occhi nel modo in cui vorremmo essere. Non come avviene nei pensieri profondi e nei sogni dove cose incondivisibili vengono partorite dalla nostra mente.
In questo ciclo di opere, Adriana Rigonat cerca di far emergere con ironia la nostra condizione di mascherati nel quotidiano, suggerendoci di provare ad auto leggerci come dei pagliacci. Attraverso un posizionamento critico del proprio punto di vista, Rigonat tenta di portare alla luce questo tabù perché se ne possa discutere apertamente, perlomeno nell’intimità del proprio soliloquio. L’autrice ci accompagna nello scoprire come il ricordo possa mutare il suo significato e divenire altro da ciò che abbiamo sempre visto. Rigonat provoca questa visione in una dinamica di gioco creativo, attraverso una ritualità legata alla opere, che possa permettere all’osservatore di smascherarsi davanti all’opera, per rimettere la sua maschera una volta lasciato il mondo simbolico da lei proposto.

Scorporato - Samantha Benedetti 2021

Le opere di Adriana Rigonat appartenenti alla serie “Nefeš” sono segnate dalla comune ricerca della rappresentazione del corpo. Vertendo soprattutto sul tema della corporeità femminile (ma non solo), nelle carte dell’artista si profilano figure di nudo, o coperte da un vestiario che si potrebbe definire “succinto”.
Permane la dicotomia tra l’ombra (soggetto principale dell’opera) delineata dai tratti grafici e l’immagine speculare ad essa, il suo riflesso, o piuttosto simulacro, con i dettagli fotografici estremamente definiti. Attraverso l’impiego di queste impressioni Rigonat rappresenta i caratteri di una visione egoriferita dei suoi soggetti: come le ombre vedano se stesse. Ciò non avviene in senso assoluto, ma indagando una precisa rappresentazione che il corpo femminile ha assunto nella società contemporanea.
Le anatomie che compaiono nelle opere non sono avulse dalla nostra conoscenza, i tratti che le definiscono sono infatti ascrivibili a una serie immagini che ricorrono nell’esperienzialità quotidiana rappresentazioni tratte da riviste, fotografie, pubblicità, dipinti, assecondano una sorta di omologazione che “spinge gli individui ad essere sempre meno se stessi e sempre più congruenti all’apparato. Per esserci bisogna apparire” ma ciò non è sufficiente, poiché la condizione dell’esistere è vincolata al mostrarsi (oltre all’apparire) in un determinato modo. Rigonat esprime dunque questo senso di conformismo che si insinua addirittura nell’espressione dell’individualità, regolata da una sorta di mercificazione. Infatti la rappresentazione individuale, quando cade il pudore, lascia spazio a una ostentazione senza limiti del proprio essere. Questo dovrebbe essere il momento in cui interiorità ed esteriorità si compenetrano per mostrarsi, i corpi di Rigonat rappresentano una visione individuale che tuttavia corrisponde nell’immagine a dei canoni di mercificazione imposti dal contesto sociale.
Quando ciò avviene vi è in realtà una scissione dell’io e, come sottolinea Galimberti, «i tracciati profondi dell’anima, in cui ciascuno dovrebbe riconoscere le radici profonde di se stesso, una volta immessi senza pudore nel circuito della pubblicizzazione, quando non addirittura in quello della pubblicità, non sono più propriamente miei, ma proprietà comune ... il pudore, prima di una faccenda di mutande è una faccenda d’anima che, una volta depsicologizzata, perché si sono fatte cadere le pareti che difendono il dentro dal fuori, l’interiorità dall’esteriorità, non esiste semplicemente più».
Dunque il fruitore attraverso queste opere conosce la proiezione individualistica del corpo dei soggetti, ma d’altra parte quel corpo che noi vediamo altri non è che l’espressione di un visione personale alienata dall’io individuale, e veicolata da una volontà di adeguatezza d’imposizione esterna. Emerge così una critica a quella “soggettività contemporanea [...] privata della possibilità di realizzare una forma di libertà originale ed autentica; omologata senza avere la coscienza di esserlo; incapace di comunicare; depsicologizzata; incapace di vivere la dimensione più specificatamente umana della sessualità; priva del tutto di conoscenza di sé.” (Fabio Bentivoglio) E quei corpi paiono uno, ma forse non v’è nessun corpo.


 
Ombre della memoria - Samantha Benedetti 2020

Le opere di Adriana Rigonat sono realizzate con tecnica mista su carta, eseguita con colori acrilici, pastelli e carboncini; queste pratiche pittoriche si commistionano, nella sua ultima produzione, con tecniche di collage fotografico.
Protagoniste delle opere sono indiscutibilmente le ombre senza identità che percorrono le tele e si rapportano alle realistiche impressioni fotografiche. Quest’ultime divengono rappresentazione dei ricordi stessi di quelle ombre dipinte; sono l’espressione di una memoria personale e soggettiva che l’artista evidenzia e definisce modificandole graficamente, attuando una riscrittura soggettiva della memoria.
Per ciascun individuo infatti il ricordo di una stessa giornata, di una persona o di un’emozione, può essere considerato relativo, poiché viene modificato e inscritto in una visione egoriferita dell’esistenza: un medesimo evento, vissuto da due persone diverse, risiede infatti nella memoria personale con connotazioni differenti.
Così nelle opere di Rigonat la fotografia trasfigura negli occhi di chi la osserva, e il medesimo soggetto può assumere infinite rappresentazioni relazionandosi a individui diversi, poiché si declina, nel loro sentire, in modi differenti ed estremamente personali. E mentre ricordi e passato assumono espressioni, e volti, i protagonisti delle sue opere non svelano le proprie maschere. Quella potenziale rielaborazione egoistica della memoria viene accresciuta dall’indefinitezza del soggetto dal viso nascosto, e l’unica possibilità per conoscerlo è quella di osservare il riflesso del passato di quelle ombre che si staglia nelle fotografie. Questo riverbero diviene così una proiezione dei protagonisti dei suoi quadri, e l’ombra, senza volto, proietta sul dipinto segmenti di un passato rielaborato che dovrebbero definirne i contorni. I soggetti non sono individualizzabili poiché le linee dell’artista spandono verso l’indefinito, verso ciò che si può cogliere solo ricercando il nascosto, ciò che non c’è: i loro volti. Ed è come se fossimo assieme a Platone, all’interno della caverna del suo mito, ove ci è dato conoscere chi siede al nostro fianco esclusivamente attraverso la proiezione della sua ombra sulla parete; senza poterlo fisicamente vedere, e senza essere visti a nostra volta. Così Rigonat con le sue opere ci lascia aperta la possibilità di entrare in quella caverna, tra quelle tele che, pur essendo cucite sul vissuto di un altro, divengono così paradossalmente familiari a chi le osserva; e noi osservandole potremmo chiederci, rivolgendoci a chi ci sta vicino: «Pensi che essi abbiano visto, di se stessi e dei loro compagni, qualcos’altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte?».
 
Le oniriche atmosfere della pittrice Adriana Rigonat
2019
Recensione di  Licio Damiani

 
La donna misteriosa dipinta da Adriana Rigonat sembra arrivare da remote regioni dello spirito, un’apparizione. C’è nelle opere dell’artista triestina come una discesa negli oscuri recessi della storia e, nel contempo, l’inquietudine di un presente drammaticamente complesso. I suoi personaggi si disfanno in vaghe atmosfere oniriche, in orme che lambiscono la cosienza. Nella figura oscura che emerge da nuvole spesse e in esse sembra dover scomparire sembrano echeggiare i versi del poeta siriano Adonis : “Il corpo ogni giorno svanisce nell’aria / diventa profumo volteggia / evoca tutti i profumi / avvolge i propri sogni / si dissolve come l’incenso”. Può essere, quella donna, la memoria evanescente di un incontro avvenuto chissà quando e chissà dove, il passaggio di un attimo ineffabile impresso nel cuore.
Licio Damiani


Proiezioni d'ombra
6 aprile – 2 maggio 2019
Galleria “La Loggia”
Udine

 
La figurazione come scelta espressiva
Adriana Rigonat ha adottato la figurazione come scelta espressiva. Infatti, i suoi quadri sono popolati di figure, appena tratteggiate, quasi evanescenti, a fatica riconoscibili nelle loro fattezze umane. Sono personaggi senza volto, privi di ogni gestualità, che sembrano muoversi nello spazio senza una chiara e precisa indicazione di direzione: vanno di qua, ora di là, forse avanzano ma potrebbero anche arretrare o stare ferme, in una inquietante posizione d'attesa.  
Roberto Zoratto

 

Incoscienza creativa
dicembre 2018
TivarnellaArt
Trieste

 
Profonda incoscienza. Per poter comprendere quale sia la dinamica entro cui opera Adriana Rigonat, bisogna riuscire a comprendere sinceramente che l’incoscienza non solo è rilevante nell’atto creativo ma più precisamente necessaria. Elemento imprescindibile che permette a questa pittura e a questa pittrice di essere fuori dal mondo del “piacevole”, che non riguarda l’arte (se non per sbaglio). L’incoscienza che l’autrice esercita di fronte al foglio bianco diventa la sua tecnica esecutiva e gli acrilici, i pastelli e il collage passano radicalmente in secondo piano. Adriana compie una sorta di traduzione da ciò che sente (nel senso che in inglese si rende con to feel) a ciò che può visivamente creare.
Questa è una grande concessione di libertà che viene data all’osservatore, che viene a trovarsi di fronte a figure dal volto muto, affiancate a ricchi dettagli provenienti da mondi non affini tra loro. Questo tipo di pittura così poco impositiva è uno strumento utile per poter scavare nel rapporto tra noi stessi e l’opera. Ogni simbolo disegnato rimanda ad un significato ancora da scovare e che sta nascosto nell’occhio di chi osserva. Ogni elemento può diventare la chiave che apre la porta su un altro mondo.
Enea Chersicola

 

Un si bel espoir…
19 gennaio – 25 febbraio 2018
Museo civico d’arte Palazzo Ricchieri
Pordenone

 
Le composizioni che ci restituisce Adriana Rigonat sono grandi pianure colorate, senza sterpaglie, senza ortiche, senza rovi, senza barriere, ma anche senza sentieri, senza indicazioni, non vi dimora alcun ostacolo ma le figure stanziano immobili, fluttuando sospese, attendono.  
In esse abita lo slancio verso la possibilità. Tra le forme la tensione di un’occasione riecheggia stridente. Tra le linee, la speranza volteggia in giri concentrici sempre più ridotti, ma apparentemente senza posarsi.  
Il vuoto che alberga i volti - occhi e bocche talmente spalancati da divenire degli abissi in cui dimorano la vertigine, la paura, lo spaesamento – è l’ineliminabile senso di solitudine, la perdita del vissuto che caratterizza ogni crescita, ogni cambamento. Piccole e profonde verità depositano lembi dell’esistenza tra persone, luoghi, oggetti che restituisce con i suoi pennelli.
Animali fiabeschi, fiori del paese dei balocchi, alberi della savana convivono con figure che ci passanno accanto in un giorno di pioggia, che incrociamo lungo la via, che avviciniamo in un negozio, che osserviamo distratti.
Adriana Rigonat li riporta sulla superficie fra le vibrazioni di luce dei contrasti cromatici.
Il silenzio del non-detto, la presenza assurda dell’incomunicabilità, il superflo che abita la quotidianità vengono espresse dalle sue silhouettes nere, eloquenti senza proferir verbo.
Isabella Bembo


Principi dell'avvenire
14 ottobre – 15 novembre 2017
MiniMu
Trieste

 
Adriana Rigonat circoscrive figure sulla superficie cromatica senza lasciare ombre.
Contorni in nero tracciano limiti corporei, richiamano la materializzazione di esseri senza volto, non in forme chiuse e congelate ma in movimenti sinuosi e vibranti.
Il colore anima paesaggi senza profondità, piatti, bidimensionali, privi di illusioni prospettiche in cui vige la dimensione emozionale.
L'universalità emerge piano, si muove spontanea dall'intersoggettività che ci propongono le sue composizioni.
L'uomo incontra l'altro come simile: finito nella sua esistenza corporea - una silhouette riconoscibile - ma infinito – un archetipo trasparente.
Con corpi vuoti congela e ingigantisce l'Umanità fissando sulla tela un istante e contemporaneamente i principi dell'avvenire.
Isabella Bembo

 

Femmineo
23 giugno -1 settembre 2016
Ufficio di collegamento della Regione Autonoma FVG
Bruxelles

Partendo dal concetto di "femminino", legato indissolubilmente al «femminino» nel Faust di Goethe quale qualità estrinseca per una redenzione dal male, Adriana Rigonat pone l'accento sulla complessità della figura femminile nel contesto attuale dove immagine, apparenza e emancipazione coabitano con emarginazione, segregazione, violenza. Nelle sue opere queste donne senza volto, queste donne comuni, queste donne di tutti i giorni e di ogni dove, ci vengono incontro facendoci entrare nel quadro e innescando una riflessione sull'isolamento, il vuoto, le difficoltà.
L'assenza è tangibile come lo spaesamento e la perdita del sè, ma un colore, una nota a margine, meno evidente ma non meno pregna, consente di aprire uno spiraglio, mutando la prospettiva, dipanando le nebbie all'orizzonte. Musa d'infiniti immaginari, la figura femminile trova qui lo spazio e la dimensione per presentarsi su angolazioni e sfaccettature polimorfi pur assumendo uno stato d’archetipo dettato dai volti vuoti, dalle figure solo tracciate: contorni-contenitori, pensieri-disegni, pose-pause. La fissità della carta dona a queste sue figure femminili, che abitano questo nostro mondo sempre più caleidoscopico e contraddittorio, la capacità d'animare in chi le osserva una riflessione sull'attualità, forse sulla storia. In fondo, a margine, un bagliore improvviso, inaspettato, una luce dettata dal colore, una sfumatura, minima e appena percettibile, consente di percepire il femmineo come possibilità, possibilità per cambiare, crescere, evolvere e credere ancora.  
Isabella Bembo


 
Echi
26 febbraio – 15 marzo 2016
Lux Art Gallery
Trieste

"Echi " presenta più di una trentina di opere su carta di Adriana Rigonat realizzate essenzialmente in questi ultimi due anni.
Il supporto rimane sempre lo stesso, la carta, come la specificità delle sue figure, contorni neri, ma il colore assume sfumature e matericità diverse.
Le opere monocromatiche presentano accenti luminescenti e dorati, le dimensioni divengono più importanti, le tematiche si rifanno al suo universo personale - nel quale ci ha abituati ad entrare in punta di piedi come lo sottolineano le "Scarpette rosse" - ma, quasi inconsciamente, ci riportano all'attualità, a una riflessione sull'oggi, delicata ma chiara, come un'onda di rimbalzo, un eco che, anche se lontano, fa sentire perfettamente quanto l'artista è impregnata del vivere che ci circonda.
Søren Aabye Kierkegaard scriveva:
Io ho un solo amico, è l’eco: e perché è mio amico?
Perchè io amo il mio dolore e l’eco non me lo toglie. Io ho un solo confidente, è il silenzio della notte.
E perchè è il mio confidente?
Perché il silenzio tace.”
Un aut-aut che ci pone senza via di scampo difronte a noi stessi, ai nostri dubbi mossi dalla nostra intrinseca ricerca del perché.
Nel mondo di oggi ombre sempre più lunghe si proiettano lungo i muri ed echi, una volta apparentemente lontani, rimbombano nei nostri orecchi.
L’ arte nasce quando si chiede. Quando l’inquietudine incalza.
Adriana Rigonat con la sua sensibilità cattura questi echi sospesi e con ferma ostinazione li riporta sulla superficie facendoli assumere sembianze vuote e tratti incompleti, nell’impossibilità oggettiva e melanconica di raccontare tutto di una vita ognuna misteriosa e silente nella propria notte, ma con un'armonia nella quale non temiamo d'immergerci e sostare.  
Isabella Bembo


 
C'era una volta
1 -10 ottobre 2015
Sb.Art - Torino

C'era una volta...così iniziano fiabe e favole...personaggi fantastici o animali che parlano e vivono in mondi inventati, stregati, magici, incantati che vanno a popolare la fantasia e la nostra infanzia.
Certo l'infanzia trova nei paesaggi e nelle figure dei racconti elementi che popoleranno per sempre il nostro immaginario.
In un ambiente familiare, ma volutamente ristretto, tipico degli spazi senza profondità di Adriana Rigonat, le figure si delineano con spontaneità. Le posture sono semplici e spesso ripetute, in una serialità di figure che diventano modelli, archetipi.
Riconosciamo i personaggi delle favole, i protagonisti di questi racconti ambigui dove una morale, esplicita o sottintesa, ci attende per farci pensare e qualche volta sorprendere come i bambini che vengono sorpresi con una caramella in bocca al momento della cena.
Colti in flagrante dobbiamo riflettere sull'infinito dilemma del bene e del male, del giusto e dell'ingiusto, dell'odio e dell'amore che alla fine, da sempre e per sempre, sottendono il fare umano.
Mille sfumature si possono sovrapporre all'esistere ma, come per i colori primari, gli elementi di base sono sempre gli stessi mescolati e combinati all'infinito.
Nessuna favola è indenne da zone d'ombra, anzi.
"Alice", "Cappuccetto Rosso", "Pippi Calzelunghe"... bisogna imparare a scorgere la luce, i suoi riflessi, come fossero le parole di un racconto, per cogliere la profondità di queste pitture in cui le ombre, dipinte o evocate, ne fanno assolutamente parte.
La carta è disegnata, colorata, bagnata, vissuta come la storia che racchiude.
A tratti una macchia s'impregna della luminosità accecante del sogno: un bianco, un rosso, un blu richiamano il nostro sguardo.
E qui ritorniamo alla nostra infanzia, ritroviamo nei semplici racconti, sfumature scomparse dalla nostra memoria, riscopriamo l'età bambina e il suo mondo incantato come primigenia età dell'oro dove tutto era possibile, ma non esente dal dilemma del vivere che proprio fate, orchi, streghe e animali fantastici ci presentano da sempre.
Isabella Bembo


Sequenze
22-30 aprile 2015
Biblioteca Consiliare Regionale Livio Paladin – Trieste
   
SEQUENZE: esporre in una biblioteca - Biblioteca del Consiglio Regionale FVG " Livio Paladin" -  arte e cultura in una passeggiata tra gli scaffali dove di solito sono presentati volumi o riviste dedicati a una materia spesso considerata ostica, per creare un dialogo tra linguaggi diversi e offrire, una volta di più, la possibilità di conoscere e acquisire nuove nozioni.
Adriana Rigonat presenta qui solo alcune delle sue opere. La mostra in effetti s'intitola Sequenze perchè i quadri esposti ripropongono, in una selezione, alcune sequenze delle mostre che l'Artista ha realizzato.
In Passeggiando con Irma La Dolce, senza nessun pregiudizio e senza alcun giudizio, ha presentato una riflessione su una certa condizione femminile ai margini, illustrando uno stralcio di vita sul quale riflettere. In Una stagione difficile, dedicata alla Prima Guerra Mondiale, ha cercato vie per andare oltre a quelle frontiere, non solo fisiche, che tutte le guerre, tutte le  stagioni difficili, causano con i loro conflitti.
Con le sue macchie di colore decise crea i paesaggi dai quali sorgono non tanto personaggi, ma archetipi che concentrano il sentire, l'assoluto, il generale di un certo vivere spiazzando noi che guardiamo e creando un dialogo interiore tra il suo linguaggio pittorico e il nostro sentire.
Il dipingere di Adriana Rigonat mi fa pensare alla poetessa milanese Alda Merini che telefonava al suo editore e dopo una pausa diceva di getto una frase, un aforisma, una poesia che lui trascriveva sulla carta. In questo modo di fare istintivo e irruento con un attimo di silenzio prima del "fare" riconosco la pittura di Adriana Rigonat
Lei si trova davanti a un foglio bianco, un attimo d'esitazione e poi segue un input che la domina e lei inizia a dipingere sprigionando la sua forza interiore.
"La pittura è un mistero con ali di farfalla" scriveva Alda Merini e il mistero c'è sempre nell'arte. Vi è il mistero di colui che crea ma anche la magia di colui che è il fruitore.  Vi è un attimo inesplicabile nel fare artistico che è  imponderabile.
Quando questi s'incontrano vi è quella che potrebbe essere  la sintesi dell'arte: un tocco di mistero impalpabile, come la polverina che le farfalle  hanno sulle loro ali.
La farfalla è effimera come l'arte, è legata alla bellezza come l'arte, ma troppo spesso ci dimentichiamo che è anche utile, come l'arte, utile nel senso più alto della parola perchè "reca vantaggio" fondamentale per l'equilibrio dell'esistenza.  
Quando un artista ha la capacità di farci riflettere su tematiche sociali, argomenti storici, problematiche esistenziali con leggerezza, bellezza e utilità siamo fortunati perchè abbiamo una farfalla che parla per tutti noi.
Isabella Bembo
 

3 - 23 ottobre 2014
Galleria Civica Fonticus
Grisignana (Croazia)

otvorenje:
petak, 3. X. 2014. u 19.00 sati, Gradska galerija Fonticus Grožnjan
Izložbu će, u prisustvu autorice, predstaviti Eugen Borkovsky

   predgovor katalogu:
  VRIJEME SUMNJE ILI SUMNJIVO VRIJEME
  Adriana Rigonat predstavlja izbor iz svog bogatog opusa. Pred nama je niz oslikanih površina snažnog ritma i razigranog kolora izveden akrilnim, ali i drugim vrstama pigmentiranog medija. Većina radova izvedena je na papirnatoj podlozi. Slikarica se koristi namazima, slojevima boje, a često oblike definira potezima kistom ili nekim drugim načinom koji ostavlja trag. Kompozicije su raspršene intenzivnim činjenjem, ali nam autorica ostavlja oslonac za pogled. Na površinama nalazimo nadslikavanje, uslojavanje, prelijevanje boja. Teksture i otoci snažnog kolora uz gestualne poteze pridružuju se neskrivenim tragovima curenja boja. Sve intervencije materijalima u funkciji su dramaturgije radova. Očita je intenzivna želja za izgovorom, interpretacijom zamišljenog ili doživljenog.  
  Prikazati bitno ljudsko, iluzionističkim slikarskim tehnikama, nije lagan zadatak. Adriana Rigonat potezima i uporabom kolora signira značenje trudeći se osmisliti pojedini rad. Umjetnici figura postaje medij. Gesta presuđuje formi ne dozvoljavajući građenje bez tragova akcije uz vidljive karakteristike medija boje. Način ekspresivnosti likovnog zapisa ponavlja se na radovima. Kao da umjetnica više puta uzima isti model i, drugačije ga doživjevši, opetovano intervenira. Svjedočeći stvara album sličan dnevničkom zapisu osobnih stanja stanovnika njenih radova. Ovi likovi nisu prikazani u opuštenoj atmosferi poziranja. Naporno dokumentarni dojam kojeg izazivaju prezentirani miješa se sa značenjskom porukom. Ona motive doživljava na senzibilni način bez obzira na to je li ih vidjela, prenosila s fotografije ili osjetila nutrinom. Autorica napor usmjeruje ka prikazu nekog njihovog znakovitog psihološkog trenutka.
 Čovjek je, tijekom povijesti, najviše obrađivan likovni motiv. U ovom slučaju, Adriana Rigonat pažnju pridaje figuri. Tijelo nosi iskaz pokretom uokvirenim situacijom. U prvi plan plasirani su glavni likovi koji bi trebali nositi težinu ideje pojedinog rada. Iz začudne ikonografije iščitavamo ilustrativne situacije. Radovi tematski dodiruju socijalne scene i suvremenost. Teme se smjenjuju, tehnološki isprepliću i doživljajno prožimaju. Cijeli projekt možemo podijeliti na više tematiziranih cjelina. Moguća podjela bila bi zavođenje i zaljubljivanje, djeca i odnosi partnera, raspad zajednice, snalaženje ili nesnalaženje u krizi. Modeli su zaustavljeni u svojem trenutnom stanju: komunikacija, odraz nervoze, razmišljanje, rijetko opuštanje. Pokret, položaj, grč figure otkriva unutarnje stanje ili nosi željenu pozu. U pokretima naziremo djeliće karaktera ili situacija u kojima ih zaustavlja umjetnica. Često pozadinu čine neki drugi likovi koji su u odnosu s bićem u prednjem planu. Odnos je nekad onirički, a ponekad u nekom intenzivnom stanju međuljudske komunikacije. Nerijetko asociraju egzaltiranost. Čini nam se kao da možemo čuti njihove uzbuđene glasove.
  Radovi nas vode od koncepta viđenog/doživljenog do interpretacije koja priziva ideju mita. Ovi likovi raspolažu efemernošću trenutka. Promatraču preostaje pretpostaviti značenja. U obrisima možemo raspoznati dio pejzaža ili neki interijer, uvijek u narativnoj funkciji. Postignuta napetost scena, apostrofira kompliciranost neizrečenog u bogatom rasponu socijalnih relacija. Ovim nizom autorica problematizira ljudske odnose, napose muškarca i žene ili mladih i starijih, djece i roditelja. Neki od radova izgovaraju pritajenu, uljuđenu erotiku ili emocionalni odnos. Neke scene kao da progovaraju o preljubu, lažnoj iskrenosti, neimaštini. Prateći radove, čini nam se da je interpretirani ženski princip aktivniji, promjenljiviji od muškog. Tako raspoznajemo djevojčicu, mladu ženu, ljubavnicu, majku, ženu u osobnom propitivanju, ali i u ulozi prostitutke. Ovim tematiziranjem možemo uočiti određeni feministički obojen pristup socijalnim odnosima. Mušku figuru nalazimo u više situacija, no u manjem rasponu, od asocijacije mladića u naponu snage, muža koji nije siguran hoće li moći prehraniti obitelj pa do situacije preljubnika. Pred nama su vizualni pokušaji preispitivanja konvencija.
  Ponuda osoba uvijek potiče tračersko razmišljanje. Postajemo konvencionalni: tko su ovi ljudi i što znače umjetnici da ona kreće u njihovo bilježenje. Većinu likova autorica smješta u neugodno okruženje. Ovime dotiče suvremenost u kojoj se sve rjeđe nalazimo u opuštenoj ili vedroj situaciji. Indicije odnosa pojedinca i okoline provlače se kroz radove. Možemo neke scene pripisati osobnoj memoriji autorice, a neke komentaru tuđih stanja. Umjetnica je svjesna da postoje društvena pravila. Analizirajući naslikano, shvaćamo da su akteri imobilizirani u zadanim ulogama. Tjelesne geste su uvjetovane običajima, sustezanjem i drugim socijalnim faktorima. Eventualne drugačijosti ili iskakanja prikrivaju se jer uobičajenost postaje alibi sistema. Autorica pokušava prodrijeti u ljudsku psihu, u ono ljudsko što skrivamo i što rijetko izlazi na vidjelo.
  Zbunjujući, zagonetni likovi i njihovi angažirani odnosi traže od nas, navikle na dešifriranje jednostavnih poruka mega-plakata, znatan napor očitavanja. Postaje nam jasno da nas Adriana Rigonat svakim radom želi obasuti trenucima propitivanja. Iako ponekad proživljeno i dramatično, ona izgovara distancirani pristup. Prisutan je snažan angažman, ali je izbjegnuto interpoliranje stava. U ovom slučaju očita je uložena energija koja rezultira nadprosječnim promišljanjem. Držeći se asortimana ljudskih obličja, umjetnica tvori humanu vokaciju ovog ciklusa.
  Niz Adrianinih radova karakterizira ljudsko. Zaustavljeni na putu od dosjetke ka znakovitosti, uznemirujući su. Teme od kojih autorica kreće u avanturu interpretacije jesu doživljena svakodnevnica. Ali ona sumnja i propituje. Izražen je stupanj izgovorene empatije s naznačenim likovima. Po principu organiziranog kaosa, granica između doživljenog i realnog razbijena je. Umjetnica je na razmeđi interpretacije i želje za mijenom. Ona znakove povezuje u priču. Priklanja se suvremenom gdje, umjesto estetskog, kasni postmodernizam poštuje instinktivno. Senzibilna autorica ukazuje na postojanje stvari u drugom obliku, u obliku osjećaja. Prisutna je spoznaja dobrog i zlog, smrti i života, svijetla i tame. Zaokupljenost materijalističkom svakodnevicom remeti nam prepoznavanje tijeka. Vrijeme „moranja“ utječe na stanje i spoznaju. A što je spoznaja? Sjećanje umnoženo doživljajem. U anarhiji materijalnog, doživljenom se na silu odbraja konvencija. Rezultat je nemir. Ostati u zadanom ili srušiti barijere urbanih konvencija? Prostor mogućnosti ponuđen je prostoru vremena.
Eugen Borkovsky, IX. 2014.


Una Stagione Difficile
21 marzo – 5 maggio 2014
Biblioteca Statale Stelio Crise
Trieste

Purtroppo ogni generazione ha e ha avuto modo di conoscere una sua stagione difficile con i segni terribili e tangibili di un Male al quale l'Uomo sembra incapace di sottrarsi. La storia si ripete anche se apparentemente in luoghi e modi diversi.
Il centenario dall'inizio della Grande Guerra è solo uno spunto, l'inizio di una riflessione sulle stagioni difficili che attraversano la nostra storia e che grazie al punto di vista di Adriana Rigonat ci permettono di osservare e sentire il vibrare di coloro che dolorosamente sopravvivono e che si confrontano con l'Altro, con quel "nemico" che alla fine anche lui non è altro che un sopravvissuto. Entrambi portano in sè gli stessi segni  di ciò che è stato e non c'è più.
Adriana Rigonat ci permette di guardare e ci invita ad andare oltre.
Con pennellate ruvide e coloratissime, dove i tratti neri costruiscono silhouettes sospese,  ricrea spazi che suggeriscono paesaggi che portano le sfumature delle emozioni e delle sensazioni di questi mondi desolati in cui sagome vuote testimoniano l'assenza e contemporaneamente lo sgomento e il dolore di chi resta.
Le vittime in guerra non sono solo coloro che che muoiono, purtroppo sono anche coloro che restano. Il peso del lutto lo portano i sopravvissuti che si legge nei volti vuoti, delle figure senza nome, che abitano le opere di Adriana Rigonat.
Queste persone comuni, questi chiunque, non hanno volto perchè sono i sopravvissuti di ogni luogo e di ogni tempo che si riscoprono alla fine uguali, senza vinti e vincitori.
Le parole di Luigi Soffiantini, di cui si presentano alcuni brani tratti dal suo diario, fanno eco a queste immagini. Questo "fante paziente" narra con parole semplici e sincere di questa scoperta dell'altro nella tragedia del dopo durante il suo periodo di prigionia negli anni tra il 1916 e il 1918.
Luigi Soffiantini, che si firma Lisi, fa proprio il dolore di chi incontra nel suo andare per scoprire che in fondo l'Altro, il nemico, non è diverso da lui: stesse sono le ansie e le speranze, stesse l'attesa e la speranza.
Adriana Rigonat ci presenta queste sue opere forti, incisive, dove vi traspare tutta la sua attenzione per l'equilibrio prezioso ma delicato,  che necessita di cure da parte di ciascuno di noi - dove, seppur nel dolore, vi è il riconoscmento dell'Altro.
In fondo soggiace un barlume di speranza che traspare dai suoi tocchi che giungono a rischiarare la tela con un guizzo di rosa, di celeste, di giallo o di viola e che fanno vibrare la composizione e lo spirito di chi sa osservare.

L' antico poeta greco Aristofane scriveva:
"...mio caro amico
se vuoi bere domani con noi,
al levar del giorno ti offrirò la coppa della pace,
e insieme appenderemo il mio scudo
sotto la cappa del camino..."
questi versi hanno più di duemila anni
dovremmo costruire più camini per appendere i nostri scudi.
Isabella Bembo


Coscienze creative
11 – 24 novembre 2012
Casa dei Carraresi
Treviso

Le opere di Adriana Rigonat sono appunti di un viaggio attraverso i più misteriosi anfratti dell’universo umano; tali immagini ci vengono riconsegnate dopo essere passate attraverso il filtro poetico del suo sguardo: non edulcorate, ma decifrate e colme di un senso epico.
Il metodo pittorico adoperato dall’autrice triestina si consuma nell’immediatezza, in modo da cogliere l’attimo emotivo presente, descrivendolo in tutte le sue sfaccettature. L’utilizzo cosciente delle colature di colore narra di un luogo in cui le figure si dissolvono verso gli abissi lasciando l’elemento più originario della propria presenza. Figure che prescindono da ogni tipo di posa o di commedia.
Le tecniche miste esposte alla mostra colgono immagini di ispirazione platonica. La caverna, luogo dal quale l’artista tenta disperatamente di uscire, è lo scenario in cui si snodano le immagini dipinte da Adriana. Figure, profumi e suoni che appartengono alla memoria, stilizzata in questi appunti dalla caverna.
Spesso i personaggi di Adriana Rigonat sono in viaggio, forse addirittura in esilio, e la meta verso cui questi tendono pare sconosciuta. Tuttavia se si considera questo viaggio come un percorso a ritroso nella propria storia, seguendo queste figure nei più cupi recessi del nostro passato, noi, spettatori delle opere, ritorniamo alla presenza del quadro meno abbagliati dalle spettacolarità dei contesti e più vicini alla nostra rappresentazione del mondo.
Enea Chersicola


Passeggiando con Irma la dolce
31 maggio – 19 giugno 2012
Sala Comunale d'arte – P.zza Unità d'Italia
Trieste

Da una liquida e grigia atmosfera dove tutto si confonde emergono, appena accennate, le donne, investite e trapassate da bagliori di colore.
Sono donne senza volto, senza occhi, trasparenti, consunte come le reliquie che il mare porta sulla spiaggia dopo la tempesta.
Sono evanescenti e nello stesso tempo presenti, senza colori, prive di identità.
Non hanno nulla di femminile: non c'è grazia, non c'è bellezza, ma c'è squallore unito a una faticosa diversità.
Sono simulacro drammatico della sofferenza e dell'infelicità.
Una profonda tristezza, tagliente si insinua nei nostri occhi e penetra nell'anima lacerando la sua serenità.
Adriano Dugulin


Passeggiando con Irma la dolce
31 maggio – 19 giugno 2012
Sala Comunale d'arte – P.zza Unità d'Italia
Trieste

Silouhettes, appena tratteggiate, popolano sinuose campiture dai colori intensi.
Sono donne trasparenti, che camminano in un andirivieni abitudinario, che sostano in pose decomposte in uno scenario vuoto che muta solo con il vibrare della luce. Sono le lucciole di Adriana Rigonat, donne dal comune destino un po’ ai margini della cosidetta rispettabilità, almeno quella apparente, che l’artista restituisce a noi come involucri di persone sulle quali riflettere.
Nella penombra dei colori, le figure delle peripatetiche sono trattate con sottile grazia, con rispetto, con pudore.
Adriana Rigonat fa di questo tema, sempre di scottante attualità, una piccola, grande denuncia garbata.
Si avvicina a loro in punta di piedi con nel pennello il tocco leggero di una farfalla.
Osserva la loro solitudine, il vuoto profondo che le circonda e che le abita.
Il colore enfatizza la drammaticità di un passo, di un’attesa, di uno stare immobile.
Irma la dolce, il richiamo a una commedia di Billy Wilder, per suggerire e non per denunciare, per parlare, ma non per giudicare, per far riflettere e non per condannare.
Tanti quadri, tante scene, come tante finestre aperte in una notte buia lungo una strada dove è capitato a tutti d’incontrare una Donna che cammina…
Isabella Bembo


A PASSI SPARSI
8 marzo – 27 marzo 2012
Galleria Tartaglia
Roma

La pittura di Adriana Rigonat si può far rientrare nell’ambito della tendenza denominata genericamente “informale”. Tuttavia, l’area dell’informale è talmente vasta e variegata da non poter più costituire, almeno secondo il mio modesto parere, un criterio identificativo valido.
In senso stretto, si dovrebbe definire “informale” tutta l’arte che rifiuta l’elemento formale, anche in senso astratto, a vantaggio della materia e/o della spazialità. In realtà, vengono considerati informali anche autori che non hanno rifiutato la “figura”, sia pure deformata o ridotta ai suoi minimi termini.
Il caso della Rigonat è, in questo senso, abbastanza emblematico. La sua pittura non rinuncia assolutamente alla forma. Le sue opere sono popolate di “figure” di vario genere, tracciate con un tocco che io considero estremamente personale ed originale, direi inconfondibile. Ma sono figure vaghe, al limite del riconoscibile, e mi fanno pensare alle macchie del famoso test proiettivo di Rorschach. In effetti, proprio per la loro “incompletezza formale” lasciano un margine molto ampio alla fantasia ed alla sensibilità dell’osservatore. Ciascuno “proietta” in esse ciò che sente e che vuole. Sono, come ha scritto Isabella Bembo, “immagini che vibrano, che palpitano, che suggeriscono a ciascuno di noi un’interpretazione soggettiva di quanto ci attornia e che si ricollega al nostro vissuto e al nostro modo d’essere”.
Un aspetto che mi colpisce molto è la quasi assoluta indeterminatezza dello “sfondo”. Le scarne figure sembrano immerse o sospese, a seconda dei casi, in un’atmosfera indefinita, priva di confini e di piani precisi. “Sono”, nel senso che “esistono”, ma non è chiaro “dove” stiano. In senso esistenzialista, sembrano provenire dal nulla e andare verso il nulla, quasi “gettate” in uno spazio con il quale non sembrano avere alcun tipo di rapporto organico. Sta qui, credo, la principale forza evocativa di queste opere, capaci di suscitare emozioni diverse: attesa, sorpresa, speranza, nostalgia...
Prof Pietro Massolo


A PASSI SPARSI
8 marzo – 27 marzo 2012
Galleria Tartaglia
Roma

Le opere pittoriche di Adriana Rigonat vivono per tratti neri che sottolineano come, il kajal lo sguardo, l’allegoria dell’essere.
Nei suoi dipinti non sono simboli che si succedono ne archetipi smunti, ma di immagini che vibrano, che palpitano, che suggeriscono a ciascuno di noi un’interpretazione soggettiva di quanto ci attornia e che si ricollega al nostro vissuto e al nostro modo d’essere.
Il suo andare è un percorrere la vita a piccoli passi, a scene ferme, chiuse e concluse in piccoli spazi dove maggior forza assume il gesto sottolineato dal tratto nero.
Il tratto nero è un filo conduttore, è il legame che permette la concatenazione dei fatti, è il sentiero che si ritrova in fondo a ogni cammino, anche dopo essersi persi nei meandri della vita.
L’importanza è sottolineata da questo nero che vibra e dona forma al colore, limitandone un’idea, un concetto, una figura, un contorno ma senza mai impedire ai pigmenti di fuoriuscire dai bordi, di mescolarsi, di confondersi l’uno nell’altro come parole e pensieri.
Isabella Bembo


ARMONIE E CONTRASTI
26 novembre – 16 dicembre 2011
Sala espositiva Cornucopia Art
Piazza Libertà, 9 c/o Silos – Trieste

Adriana Rigonat è l'anima emotiva e squisitamente sentimentale del collettivo. La sua attenzione è rivolta all'essenza dei personaggi e delle cose collegate nell'attimo in cui esse si manifestano.
Non sono importanti i dettagli, le definizioni precise. Tutto accade nel momento e il suo sguardo lo intercetta con una rapidità ed una sensibilità impressionistica. Una sua recente ricerca iconografica,“Infanzia dorata”, ne è l'esempio più eloquente.
I personaggi sono vivide ombre, la natura è fugace,provvisoria, resa di getto con un colore liquido che tende a svaporarsi ed a correre come nel sogno di una vita parallela fuori di questo mondo.
Ma la Rigonat è sempre presente a se stessa nel coinvolgimento di una pittura che è lo specchio fedele della sua sentimentalità e di una intensissima vita interiore.
Giancarlo Bonomo


ACCENNI D’OMBRE
12- 23 novembre 2011
GAMEC – Galleria Centro Arte Moderna
Lungarno Mediceo, 106 – Pisa

Nei souvenirs implosivi dell'anima
La personalizzazione del segno grafico si sfuma a tutto colore per accrescere l'effetto cromatico-timbrico che ne consegue.
La gestualità diviene,via via, più libera e vitale nei fondali caldi e spesso sanguigni.
Mai il gesto si svuota degli esodi dei pensieri,che portano a visitazioni spesso nostalgiche nella memoria dei ricordi.
I toni hanno sempre i loro contatti e l'infanzia si fa spesso presente, con quel senso poetico del “fanciullino” pascoliano nei souvenirs implosivi dell'anima.
Anche nei toni più freddi (grigi,blu,neri) le elargizioni emotive sono un continuo magma di slanci vitali.
La tecnica mista su carta evidenzia il gioco di luce ed ombre,le sfumature sinfoniche di un'anima indagatrice di ogno desinenza di pensiero.
Alle radici della liricità la nostra conferisce sempre maggiore forza espressiva.
Dott.ssa Sandra LUCARELLI – PISA


ACCENNI D’OMBRE
12- 23 novembre 2011
GAMEC – Galleria Centro Arte Moderna
Lungarno Mediceo, 106 – Pisa

Nell’eccezionalità del nostro quotidiano mille nuvole grigie passano infinite volte ad oscurare il cielo.
Sono parole, sguardi, sensazioni, emozioni, esperienze, ricordi che proiettano lungo i nostri giorni ombre più o meno spesse, più o meno nere.
Più forte brilla il sole più intensa sarà l’ombra proiettata sulla parete, più facile per noi vederla, più facile per noi rischiararla. Ma vi sono ombre fluide, annacquate in infiniti toni di grigio che per i più spesso sono appena percettibili e solo per pochi rimangono tracce leggibili di ricordi e pensieri.
Il tempo gioca a loro favore assottigliandole fino a farle quasi scomparire. Non sono tagli netti senza sbavature, forme distinte chiaramente percettibili, sono tracce di figure, di parole, di numeri, di colori che sembrano sparsi e incoerenti senza ordine apparente.
La tematica predominante è legata al ricordo dell’infanzia, tappa iniziale e fondamentale della vita, di cui traspaiono, in controluce, figure, alberi, animali, ombre, che con la loro semplice essenzialità connotano ben l’universo infantile ma divengono anche, quasi in uno specchio d’Alice, le chiavi di lettura di tutto quel mondo nascosto e inconscio che popola sogni, dubbi di una nostra memoria troppo spesso volutamente dimenticata e che qui ritrovano voce grazie al lavoro di Adriana Rigonat.
Isabella Bembo


UMANITÀ
3-18 novembre 2011
Galleria Vittoria,
Via Margutta, 103 – Roma

Le sue figure essenziali affiorano da impasti di colore quasi gettato sulla superficie, senza indugio e senza curarne le sfumature, in un contrasto e armonia dei colori. La difficoltà a tracciare i contorni di questa umanità è l’elemento narrativo principale che coinvolge in una lettura partecipata al dramma esistenziale svelato da un gesto vibrante, ondulato e interrotto. In questo andare per zone d’ombra, nascono figure inquietanti, sofferenti, destinate a soccombere per le contraddizioni culturali e psichiche di una società che detta codici di comportamento confusi e spesso opposti, di certo non attenta all’armonia interiore.
Riccardo Tartaglia


ATTRAVERSANDO IL BUIO
8 – 25 settembre 2011
Palazzo Frangipane
Tarcento – Udine

Adriana Rigonat si muove in un mondo di quinte, di paraventi, di piani sfalsati tra i quali, mute e
silenziose, appaiono e scompaiono, come sgusciassero dal nulla, figure umane appena tratteggiate,impalpabili, enigmatiche e cupe.
Figure che, evanescenti nelle brume fumose e compatte, sottraggono allo sguardo ed all'udito il loro infinito brulichio d'anime perse, affogando nel vuoto e nell'oscurità della coscienza.
Con il sapiente uso della fluidità dei colori, anche qui scuri tra il grigio ed il nero con concessione al bianco per accentuare i contrasti, fluidità ora liberata, ora lacrimata, ora violentata e graffiata sulla superficie pittorica, l'autrice ci porta per mano sulle rive di un fiume infernale, precisamente là dove il gelo penetra i polmoni ed il piede affonda nella melma della colpa e del peccato. Ecco là apparire "l'uomo nero" che, dopo aver turbato le notti della nostra infanzia, ci parla ancora dell'immortalità del male mentre più in là, come falene che bruciano le loro ali sulla fiammella delle candele, ci sono le "belle di notte" che bruciano la loro giovinezza, i loro sogni e le loro speranze, alla luce di un qualsiasi lampione alla periferia della città e dell'anima.
Roberto Zoratto


OPERE SU CARTA
4-9 dicembre 2010
Antiche Mura Monfalcone
Monfalcone - Gorizia

Anche se in tutti è sepolto il gran tesoro dell’infanzia,esso si trova a irraggiungibili profondità.
Elémire Zolla

Il mondo dell’infanzia ha rappresentato una fonte ispirativa molto frequentata da innumerevoli artisti,appartenenti a periodi diversi della Storia dell’Arte.
Ciascuno di questi periodi ne ha sottolineato alcuni aspetti: il Naturalismo ha raffigurato il bambino in quadri d'ambiente (mostrando spesso un pastorello con il suo bestiame), il Verismo ne ha dato un'immagine di assoluta povertà e degrado.
Più tardi il Simbolismo ha offerto dell'infanzia una visione letteraria e idealizzata, recuperata anche in seguito, con grande plasticità dal Novecento Italiano.
Un mutamento radicale è intervenuto con la modernità nel rapporto fra arte colta e disegno infantile. I primi artisti a interessarsi intensamente all' argomento sono stati quelli del Gruppo del Cavaliere Azzurro.
In seguito, in maniera meno sistematica ma non meno significativa, Pablo Picasso, Juan Miró, Jean Dubuffet, Fortunato Depero,… hanno osservato con grande attenzione il disegno infantile.
Alle sue modalità espressive hanno fatto riferimento per esprimere, attraverso i segni ingenui e assoluti dei bambini, anche la condizione dell’uomo contemporaneo in una società post industriale/tecnologica,multimediale, ricca di “cose” ma sempre più povera di relazioni affettive, in cui è difficile vivere una vita rispettosa di ogni esigenza umana.
La particolare sensibilità sociale di questi artisti ha fatto della solitudine, della fragilità e dipendenza dell’infanzia, una parafrasi poetica, particolarmente efficace, delle condizioni esistenziali dell’uomo di oggi.
Anche il lavoro attento e meditato di Adriana Rigonat rappresenta forti analogie con questa realtà difficile.
L’artista ritrae spesso bambini rassegnati alla loro solitudine, impegnati in gesti quotidiani che esprimono un profondo senso di alienazione.
Le figure essenziali costruite secondo i canoni tipici del disegno infantile,affiorano da impasti di colore quasi gettato sulla superficie, senza indugio e senza curarne sfumature, velature, contrasto e armonia dei colori, ottenuti sovrapponendo tecniche diverse: acquerelli, pastelli, gessi, acrilici.
La difficoltà a tracciare i contorni sfuggenti, di questa sua nuova umanità, è l'elemento narrativo principale che determina una sorta di interrogazione, una lettura partecipata al dramma esistenziale presente, grazie a un gesto segnico nero, vibrante, ondulato e interrotto.
In questo andare per zone d'ombra e ricostruire un percorso di formazione dell' identità, nascono figure che mostrano aspetti grotteschi o mostruosi, quasi sempre inquietanti pur se infantili, e dati per accenni essenziali, irriverenti.
Ossessività, straniamento, ambiguità, deformazione sembrano voler ribaltare a tutti i costi quella carica di presunta innocenza felice che ha caratterizzato lo stereotipo dell’idea dell’infanzia, e che risente delle contraddizioni di una cultura che celebra codici di comportamento confusi e spesso opposti.
L’arte che illustra l'ansia di crescere oggi, in una società in cui la violenza fisica, psicologica ed economica, stravolge o annienta l'essere bambino, acquista quel valore aggiunto di cui si sente bisogno per diversificare soggetti e temi, producendo così una nuova categoria di verità dell’arte, che è tale proprio per ciò che sa riportare entro il tempo storico.
Uno straordinario incipit al percorso espositivo - è (0001copia[1] – opera nella quale è visibile una figura umana femminile tracciata con il colore d’oro.
Questo punto di avvio della mostra permette di cogliere in un luogo fatto di nubi e di vento, nell' accostamento con il rosso di una ferita che sta alle spalle della bambina, un imponente e statuario albero nero. Irraggiungibile, contorto, lontano.
Un’evidente allegoria della vita futura (posta dietro, come fosse già passata) che vede non la bambina vera, protagonista, ma un suo simulacro, una forma vuota, un'idea virtuale, dorata. Adriana Rigonat sembra prendere in prestito le parole di Marina Cvetaeva "La storia delle mie verità - ecco l'infanzia ….. Là sono le radici.
Alessandra Santin


12 maggio – 14 giugno 2010
IV Circoscrizione Udine Sud
Via Pradamano, 21 - Udine

Adriana Rigonat, nella sua pittura, vive l'esperienza figurativa tradizionale, sottacendo le emozioni ma rivivendole in alcuni paesaggi, in quelli del Carso sopratutto, luogo probabilmente di memorie personali, ma di più luogo d'amore di tutti i pittori figurativi triestini, luogo simbolico di attese e di pause esistenziali, ma per la Rigonat anche di profonda poesia e di ricreazione esistenziale.
Vito Sutto


CALENDARIO 2009

La sua intensa passione per l'arte la porta ancora ad esplorare tecniche e argomenti sempre nuovi, così che accanto al paesaggio degli inizi ed al disegno tanto amato, trova ora vigore una espressione informale, intensa e passionale, dove il colore acquista passaggi rilevanti come folgorazioni intuitive nell'istintualità propria di questa artista.
Fabio Favretto


LA DONNA NELLA SOCIETÀ CIVILE
8 – 16 marzo 2008
Palazzo della Loggia
Sala Espositiva Lancerotto
Noale – Venezia

É una pittura che trova nella natura la sollecitazione più forte e i paesaggi non sono solo una composizione di elementi, di piani e di vedute suggestive, ma impressioni essenziali, colte in plein air, partecipando allo spettacolo carsico della sua terra.
Così le immagini raccolgono la poesia dei colori delle stagioni e del mare, della storia, dei palazzi , in ritmi impreziositi dai contrasti e dai riflessi dell'ambiente.
Recensione mostra di Noale
Lidia Mazzetto


LA NATURA NEL CUORE
16-30 novembre 2007
Spazio espositivo Arte sette
Via Rossetti, 7 - Trieste

La pittura di Adriana Rigonat possiede una texture pittorica ricca fatta di larghe pennellate guizzanti e pastose che danno corpo e vitalità ai volumi. I contrasti dinamici di colori caldi e freddi creano un effetto vibrante che coinvolge emotivamente e affascina. Le sue opere infatti non vogliono solo essere un oggetto passivo di contemplazione, ma sembrano invadere il nostro spazio e immergersi nel mondo d’Adriana.
Un mondo fatto di passione ed entusiasmo, di gioia e di tormento, un mondo di poesia che si esprime in paesaggi, nature morte, scorci cittadini ed esperimenti astratti.
I carsi
Questa mostra presenta un saggio della produzione paesaggistica dell'artista. Un vero assolo poetico alla suggestione e al mistero delle nostre lande carsiche: pietre di un bianco accecante bruciate dal sole o i caldi colori dell'autunno. Gioia e malinconia di chi ha la natura nel cuore e ci conduce nel cuore lirico della natura.
Astrid Pesarino


IN PROGRESS
22 settembre - 13 ottobre 2006
Spazio Espositivo Bossi-Viatori
Assicurazione Lloyd Adriatico
Via Locchi – Trieste

L'esperienza pittorica di Adriana Rigonat sta subendo una positiva e progressiva evoluzione: l'artista, infatti, accompagna la sua inclinazione creativa a uno studio assiduo e a uno sperimentare che acquistano concretezza e risposta nella sua produzione, dove la proprietà del linguaggio pittorico si sta articolando in maniera sempre più complessa e ordinata.
La valenza della figura e del rappresentato, comunque, sono a declinare la capacità della pittrice, ma lasciando sempre intravvedere il desiderio di fughe in avanti, verso la risoluzione della forma per una maggiore libertà espressiva che rappresenta in lei un'attrazione primaria.
L'incontro tra le due spinte è comunque foriero di una vitalità e di una timbrica che sono l'essenza dei quadri di Adriana Rigonat, con il paesaggio richiamato a essere componente spaziale frammentata in aree di colore.
La base espressionista comporta, perciò, una timbrica vibrante, intensa perchè immediata, partecipativa e, per certi versi, irriflessa dove il gesto è spontaneo e rapido come la sensazione da cui trae origine.
Fabio Favretto


SOFFUSI SILENZI
19 – 25 marzo 2004
Antiche mura Monfalcone
Monfalcone – Gorizia

C’è tanta voglia d’informale in Adriana Rigonat, un desiderio interiore di staccarsi dal materiale, dalla realtà,dal quotidiano, vissuto e visto, per dimensioni superiori , più lontane, dove le percezioni giungono con coloristiche dai movimenti rallentati, scandite al loro interno da una dinamica di pura creazione.
Una fuga in avanti nella sua crescita artistica che già si preannuncia e che certamente costituirà la dominante di questa evoluzione che, giustamente, Adriana Rigonat limita ancora, preferendo completare la sua analisi del reale.
La lettura del paesaggio, perciò, attraverso le sue varie sfumature, i transiti cromatici, le sue profondità dimensionali e sensibili è, in questo periodo ,il punto centrale della sua intensa attività creativa ed il mezzo attraverso il quale l’artista triestina viene progressivamente ad acquisire quella maggiore capacità analitica dell’esistente e dei tanti modi del suo manifestarsi che è poi prerequisito per più liberi voli.
In questa fase di transizione, Adriana Rigonat, limita la sua corsa verso il nuovo, come si è detto, ma non per questo rinuncia a soddisfare l’esigenza interiore di una totale libertà espressiva. Lo fa ricorrendo a giochi coloristici, letture soffuse di ambienti esterni che possono essere case rurali, scorci boschivi, gole di fiumi, marine.
Il segno da una parte si propone di essere funzionale al soggetto, ma lo si avverte ugualmente inquieto, insofferente, alla ricerca soprattutto di contesti in cui meglio il dipingere si apra a fusioni stemperate di tinte, fusioni armoniche incoerenti. Ancor di più, poi, la contrapposta tensione tra il descrivere e il fantasticare in cui l’artista si dibatte, si presenta e si libera in presenza di tematiche che consentono una autonomia descrittiva come in una bella marina ,dove il plumbeo diffondersi di un tramonto in odor di tempesta è già sufficiente e opera per sé.
Adriana Rigonat ci appare in forte tensione verso lo sperimentare, all’interno di un percorso che la vede flessibile, curiosa, interessata a trovare e provare. Un esercizio a tutto campo, rivolto in più direzioni.
Lo dimostrano anche i suoi disegni, con un’ampia raccolta d’invenzioni, con geometrie e volute a intersecare spazi colorati, e con una altrettanto vasta collezione di studi anatomici. La persona, intesa come entità fisicopsichica che è di pertinenza astratta, la stimola e la incuriosisce. Il corpo non è armonia vivente, ma una struttura plastica dalla quale partire per una copiosa serie di variazioni e di espansioni che si stanno affacciando anche nei lavori ad olio, dove l’assieme figurativo è trasceso e messo in stretta dipendenza con l’invenzione coloristica.
Ma queste sono ancora ricerche e non si è inteso dare loro già luce, anche per non intralciare l’approccio dell’osservatore alla produzione di Adriana Rigonat.
In questa mostra di Monfalcone, infatti, si è cercato piuttosto di seguire una linea di continuità e coerenza, con una esposizione di quadri a prevalente soggetto paesaggistico, realizzati in tempi diversi e che rendono bene il senso del colore proprio della pittrice ,ma che consentono anche di intuire il superamento della forma che così intensamente preme sulla produzione artistica di Adriana Rigonat.
Fabio Favretto




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